Per secoli la cucina è rimasta invisibile. Nell’antica Roma si banchettava per ostentare ricchezza, ma chi cucinava restava nell’ombra. Stesso copione nei castelli medievali e nelle corti rinascimentali: i piatti erano spettacolari, i cuochi silenziosi e invisibili. Il pasto era un rituale collettivo, ma il gesto del cucinare restava separato e distante.
Tra Settecento e primo Novecento, lo chef inizia a farsi conoscere non solo tra i cuochi, ma anche nei salotti aristocratici, nei grandi alberghi e nei circoli intellettuali. I grandi maestri francesi sono i primi a portare maggior notorietà alla figura dello chef. Da François Pierre de La Varenne, a Marie-Antoine Carême ad Auguste Escoffier vediamo figure che hanno rivoluzionato il mondo della ristorazioni diventare celebri, ma non “visibili” nel senso moderno del termine. Il loro nome circola, ma il loro volto no. La loro voce non raggiunge i commensali. Sono rispettati come esperti, ma non ancora percepiti come narratori. Il gesto del cucinare resta separato dal momento del servire e dal dialogo con chi fruisce della grande cucina.
A tu per tu con la grande cucina
Solo negli anni Settanta dello scorso secolo, in Francia, con la nouvelle cuisine, questa distanza inizia ad accorciarsi. Lo chef non è più solo un tecnico e un esecutore: diventa un autore, un narratore. Il piatto racconta una visione, la cucina si apre – idealmente e fisicamente – al confronto.
È in questo contesto che nascono i primi chef’s table: tavoli speciali per ospiti selezionati, spesso sistemati direttamente in cucina. Non sono ancora un’esperienza codificata, ma segnano un cambio di paradigma. Tra i pionieri, lo chef Eckart Witzigmann, all’Aubergine di Monaco, negli anni Ottanta apre per la prima volta la cucina agli ospiti. Non si tratta ancora di un’esperienza formalizzata: il tavolo in cucina viene concesso occasionalmente, su invito o richiesta, a clienti abituali o particolarmente curiosi. Chi vi accede può osservare il lavoro della brigata, dialogare con lo chef, vivere un’esperienza immersiva — ma senza regole fisse, né un rituale prestabilito. È un gesto di ospitalità, più che un’offerta di menu.
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